Elena Strada
fondo mostre

CLAUDIO CERRITELLI

ZOOM DELL'ANIMA

Durante questi  ultimi anni di lavoro intorno ai temi preferiti della sua pittura Elena Strada è come uscita dall’illusione che dipingere sia solo una fonte di piacere e di espressione della grazia cromatica e si è gradualmente  calata in uno stato di ricerca dove affiora una maggiore inquietudine creativa e un minor appagamento formale.
Ho sempre desiderato di incontrare la pittura di Elena su un piano nuovo, staccata dalle sicurezze cercate nel sorriso lieve del colore, ho sempre immaginato che il raffinato esercizio di forme che giocano con le sfumature potesse abdicare a questo stato d’animo sentimentale e accettare un mutamento improvviso. Un mutamento capace di trasformare la traccia naturalistica dello sguardo nell’approfondimento dello sguardo stesso: occhio e cuore della pittura che cercano  qualcosa che sfugge all’interno del loro reciproco divenire.
Il dialogo tra un artista e un critico, tra chi fa l’opera e chi la commenta non può non esprimere un rapporto tra pensieri diversi che si congiungono o collidono, si afferrano o si lasciano andare, in uno stato di reciproca tensione, mai per indifferenza o ragioni di conto.
Mi sembra che questo possa essere il modo più veritiero di incontrare l’artista, soprattutto quando si tratta di un giovane alla ricerca di se stesso, rispetto al quale ci si accorge che qualcosa muta sempre nella direzione più segreta e che il destino possa essere affidato a minimi accadimenti, a passaggi interiori in grado di deciderne l’orientamento.
Ciò che oggi registro di fronte alle recenti opere di Elena Strada, a differenza di quanto ho potuto verificare in precedenti occasioni, è una meditazione sui sensi pittorici che, di fronte a persistenti nuclei d’immagine, non misura soltanto la composizione e l’estensione del colore ma ne coglie intensità interna, la sua forza d’urto. 
Per fare questo l’artista ha deciso di affidarsi, in taluni casi, ad una doppia immagine, due tele della stessa dimensione disposte una accanto all’altra, in forma di dittico, dove le due parti sono accostate sul filo della verticalità. La tela che sta a sinistra è paragonabile alle opere consuete, vale a dire esprimono quell’idea di pittura come “paesaggio dell’anima”, come spazio ideale di tracce e sedimenti cromatici che evocano cose consumate dal tempo. In questo luogo complesso e articolato il colore è affrontato attraverso  diversi tipi di intervento: il segno, la traccia, la trasparenza, il senso materico, la luce, l’ombra, l’impressione di ambiguità, l’aspetto mutevole delle forme sulla superficie.  In quest’immagine convergono tutti i sentieri che la memoria costruisce, cancella e fa di nuovo affiorare, anche quando si fa indeterminata, con la sensazione di sottrarsi alla riconoscibilità.
Questa parte del dittico è dunque il luogo dell’armonia cromatica a cui l’artista ci ha abituati da qualche anno, zona inattaccabile, “rifugio di ciò che resta” del travaglio esistenziale.
Non a caso emerge in diverse tele del 1998-2000 un nucleo formale che sembra farsi autonomo nel divenire del colore, una specie di scatola della memoria, vissuta come una chiusura, una protezione nei confronti di ciò che viene dal di fuori.  Questo dato psicologico si traduce in un dialogo tra interno ed esterno, tra libertà del gesto e necessità di ancorarlo ad una dimensione duratura, come superamento del senso provvisorio dell’esistenza e della sua evocazione  nella pittura.
A questo punto scatta una diversa esigenza: sulla superficie che sta a destra - l’altra identità del dittico - Elena Strada crea uno sprofondamento nella materia, dilata un particolare  dello spazio sovrastante, vi si immerge per ricavarne la sensazione di addentrarsi nel fuoco interno dell’immagine, anche a rischio di perdere completamente di vista l’armonia degli elementi in gioco.
Questa superficie è lo zoom dell’altra: lo zoom dell’anima –dice l’artista – una condizione dove l’occhio sprofonda all’interno del colore, affronta una dimensione totalmente diversa delle cose, come quando lo sguardo accorcia la sua distanza dall’oggetto e si trova a diretto contatto con la sua pelle, la sua scorza, il suo ruvido sapore.
E’ come se, concentrandosi sulla forza esplicita di questi “particolari pittorici”, Elena volesse guardare le cose attraverso una lente sensoriale e mentale capace di restituirle appena sfocate, quasi informi, talvolta più incise, preferibilmente dilatate, fino a identificarle con tutto lo spazio a disposizione.
Le due superfici, apparentemente separate, continuano in questo senso ad agire in reciproco accordo, sospese su quella linea che le stacca ma le tiene fortemente unite in virtù del fatto che l’origine dei due diversi campi ottici è pur sempre la stessa: l’esperienza del colore come energia emanata dal colore medesimo.
In tal senso Strada non intende in alcun modo portare la pittura verso la soglia della concettualità, non usa la metafora del dittico come sdoppiamento linguistico del codice pittorico, non sposta l’attenzione lontano dal colore come strumento d’indagine privilegiato.
Qualunque ragionamento sulla pittura è sempre una emanazione diretta della pittura, non si avvale di sostegni estranei al suo divenire, anzi la riflessione sul dipingere è un modo di sentire con maggior convinzione le contraddizioni interne della ricerca.
Come dire: l’artista cerca di unire in questo esperimento il progetto razionale e l’abbandono emotivo, la pittura e la sua infinita esplorazione, la superficie e il suo lato oscuro, l’insieme dei gesti legati alla materia e la possibilità di isolarne uno solo.
Non a caso, se guardiamo attentamente alcuni di questi dittici, la sgranatura della pelle pittorica o i filamenti del colore che si estendono nell’arco di un breve spazio lasciano affiorare altre tracce e altre sensazioni cromatiche, questioni di dettaglio  che non si vedrebbero, proprio perché vanno dissolvendosi davanti ai nostri occhi.
Questi aspetti consentono alla pittura di guardarsi dal di dentro, di far affiorare impulsi che prima erano trattenuti nell’armonia della composizione, quasi costretti a commisurare il proprio valore primario all’esigenza di equilibrio dell’immagine.
Mi sembra che la volontà di focalizzare il colore in un solo punto  possa spingere il lavoro di Elena Strada verso l’acquisizione di un peso sempre maggiore della materia come orizzonte misterioso, dimensione totalizzante della visione pittorica, luogo dove l’immagine emerge e sprofonda immediatamente in se stessa.
Questa direzione di ricerca esprime una coscienza creativa meno propensa a inseguire eleganti fusioni del colore e più interessata a cogliere la loro oscura genesi. Esprime soprattutto la necessità che la pittura ha di  nutrirsi di modificazioni interne e di avvertire quel senso provvisorio della materia che è il modo più interessante che un giovane pittore ha di continuare a dipingere la magia delle forme possibili.   

 ( Presentazione del catalogo “Sulla pittura di Elena Strada”tre momenti di lettura  2003)